La mancata verifica dei requisiti nei procedimenti di affidamento diretto può configurare il reato di falso ideologico implicito. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, con la sentenza n. 2153 del 17 gennaio 2025, chiarendo che anche le attestazioni solo implicite contenute in un atto pubblico possono integrare gli estremi del reato previsto dall’art. 479 del codice penale.
Nel caso in esame, la determina di affidamento era stata adottata senza previa verifica della documentata esperienza del soggetto incaricato, requisito previsto dall’art. 50, comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 36/2023 per affidamenti sotto i 140.000 euro. Secondo i giudici, tale omissione non è irrilevante: l’atto amministrativo, pur non menzionando espressamente la verifica, la presuppone come condizione necessaria alla sua legittimità. Pertanto, il contenuto dispositivo dell’atto implica, in via necessaria, l’avvenuto controllo dei requisiti.
Richiamando una consolidata giurisprudenza delle Sezioni Unite, la Cassazione ribadisce che la falsità ideologica può investire anche i contenuti impliciti di un atto, ossia quelle attività che, pur non esplicitate, costituiscono presupposto inderogabile dell’adozione del provvedimento. In questi casi, la mancata menzione – anche se deliberatamente omessa – non esclude la responsabilità penale del pubblico ufficiale che ha redatto l’atto.
La pronuncia rafforza il principio secondo cui, anche nell’ambito degli affidamenti diretti, la correttezza e la trasparenza della procedura non possono prescindere dal rispetto formale e sostanziale dei requisiti richiesti dalla legge.
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